
- Corpo e mente
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by NoiSalute
Secondo l’impianto psicoanalitico esistono diversi meccanismi di difesa che gli individui possono inconsapevolmente adottare allo scopo autoprotettivo di mantenere il loro equilibrio psichico. Tra tali strategie ve ne sono alcune più primitive ed arcaiche come la negazione che indica il rifiuto di accettare propri comportamenti, emozioni e pensieri ma anche fatti, informazioni e qualsiasi dato di realtà: si agisce come se un evento, un sentimento, un pensiero doloroso non esistessero o non appartenessero alla persona, nonostante le evidenze contrarie.
La negazione è un meccanismo presente già dalla prima infanzia in quanto capace di riflette il pensiero magico ed onnipotente tipico dei bambini piccoli secondo cui disconoscere una realtà sgradita equivale ad eliminarla, a sopprimerla (es. un bambino che viene trovato con la faccia sporca di cioccolata nega di averla mangiata). La negazione negli adulti può essere attuata davanti a situazioni percepite come pericolose poiché potenzialmente in grado di minacciare e compromettere la stabilità della struttura mentale della persona.
Attraverso la negazione infatti l’individuo resiste alla realtà, vi si oppone, esprime il desiderio di non sapere o di non riconosce aspetti troppo sgradevoli, dolorosi, intollerabili da affrontare, ingestibili emotivamente, così può evadere parte della realtà procurandosi un momentaneo sollievo. Tuttavia ciò può compromettere l’esame di realtà, modificare la consapevolezza e risultare disfunzionale e disadattivo in quanto questa reazione emotiva primitiva non permette di prendere contatto e governare la realtà né di sviluppare strategie adeguate per modificarla avviando un processo di cambiamento efficace. In tal modo le situazioni problematiche rischiano di diventare sempre più difficilmente gestibili e controllabili. Inoltre l’uso recidivo della negazione può indurre la persona a sviluppare una seria patologia mentale (disturbo psichiatrico).
In alcuni casi la negazione può arrivare alla totale scotomizzazione (eliminazione) di parti della realtà o della propria biografia che vengono “cancellate” (diniego) poiché disturbano (es. nei casi di diagnosi di malattie infauste ed incurabili, di problemi di alcolismo, di abuso sessuale subito) al punto da destabilizzare o anche rivoluzionare l’esistenza del singolo, modificare la sua immagine di sé, il suo ruolo nella società, la considerazione sociale di cui gode. Sono elementi che compromettono profondamente l’identità e l’integrità che la persona si è costruita, che minano i suoi valori, che lo espongono al giudizio negativo degli altri (pubblico ludibrio). Essa si può esprimere nella quotidianità es. per nascondere evidenze come abuso di alcol e sostanze psicotrope, o semplicemente per non accettare la perdita di competenze, abilità e capacità fisiche date dall’avanzare dell’età (che magari inducono a perseverare in condotte rischiose come guidare o vivere da solo).
In particolari circostanze si può ricorrere alla negazione con risultati efficaci ed adattivi (es. quando si adotta un comportamento “eroico” ed impavido in occasione di catastrofi naturali) poiché, a volte, disconoscere l’imminente pericolo di morte in situazioni di emergenza può aiutare a mantenere la lucidità e la motivazione necessarie per salvare sé stessi e gli altri da un grave pericolo, per garantire il mantenimento del proprio equilibrio psichico in contesti emotivamente complessi e minacciosi come possono essere gli eventi traumatici o luttuosi.
Infatti, quando un individuo è sottoposto ad una sollecitazione interna e/o esterna critica (stressor), difficilmente riesce da subito ad averne piena consapevolezza e a identificarne tutte le conseguenze ed implicazioni. All’inizio la realtà emotiva può essere così potente, profonda ed intollerabile da elaborare ed accettare che la persona può essere incredula e rifiutante per permettere al suo organismo di prendersi uno spazio temporale necessario per acquisire consapevolezza e reclutare risorse cognitive ed emotive per affrontare e gestire in modo adeguato il problema o l’evento improvviso e drammatico. Questa strategia negazionista consente di “sospendere” la situazione fino a quando non ci si sappia attrezzare per adattarsi mettendo insieme le risorse necessarie ad affrontarla con perizia. Analogamente, in risposta a varie tipologie di eventi traumatici non è infrequente che le persone, almeno inizialmente, si comportino come se non fosse accaduto niente di speciale o come se ciò che è accaduto non le toccasse particolarmente. Si tratta, anche in questo caso, della negazione di alcuni elementi dell’esperienza il cui verificarsi non esclude affatto la possibilità che il trauma, in seguito, venga affrontato adeguatamente e gradualmente superato. La risposta al trauma prevede, infatti, un processo complesso per integrare l’esperienza traumatica nella propria vita senza che questa venga rifiutata o negata, ma neppure che venga costantemente rivissuta in modo intrusivo, condizionando la quotidianità dell’individuo. Tuttavia la negazione dovrebbe rappresentare una strategia limitata nel tempo e di entità contenuta poiché, se prolungata nel tempo, può diventare una risposta disfunzionfale e patologica anche perché, per quanto sappia nascondere efficacemente una realtà inaccettabile disconoscendone la portata emotiva e neutralizzandola temporaneamente, essa non è però in grado di eliminarla o bloccarla per sempre. Essa infatti può riemergere.
La psicoanalista Nancy McWilliams sostiene che sebbene la negazione sia un meccanismo di difesa presente in ognuno essa è più comune in caso di dipendenze, traumi, tabù, disturbi mentali gravi, personalità immature e “costituzionalmente” incapaci di far fronte alla realtà, o strutture di personalità ipomaniacale , caratterizzata da soggetti che privilegiano gli aspetti positivi in tutto, che tendono a vedere sempre “il bicchiere mezzo pieno” e a cogliere aspetti “leggeri” o umoristici anche degli accadimenti più drammatici (1). Questa modalità può contraddistinguere anche persone psicologicamente “sane” ma, se è rigida e pervasiva, può comportare problemi relazionali o porre la persona in situazioni di rischio per sé stessa o per gli altri.
Il meccanismo del diniego si manifesta anche nella maniacalità, in cui la persona può giungere a disconoscere le proprie necessità fisiologiche (mangiare/dormire bene), le proprie vulnerabilità personali o i propri limiti (fisici, finanziari etc) ricorrendo ad una iperattività in cui non c’è spazio per il pensiero e in cui gli aspetti dolorosi della vita e le emozioni più disturbanti vengono disconosciute o rese insignificanti.
L’ipomaniacalità come aspetto della personalità sostenuto dalla negazione/diniego non è però necessariamente sinonimo di psicopatologia: alcune persone possono renderlo un aspetto adattivo e gradevole del proprio modo di porsi con sé stesse e con gli altri per il modo in cui possono contagiarli con il loro buon umore. Tutto ciò a patto che la negazione non sia un meccanismo assoluto, ma permetta alla persona di ricorrere anche ad altre strategie più adattive e funzionali.
L’attitudine a negare o a rimuovere si riscontra anche può a livello sociale e può riguardare un’intera comunità. Il sociologo Eviatar Zerubavel, nel saggio “The elephant in the room” fa riferimento alla fiaba di Andersen per sottolineare come vi siano delle evidenze palesi e note a tutti (es. rischi sismici, catastrofi naturali, cambiamento climatico, disuguaglianze sociali, inquinamento terrestre…) ma che, essendo intricate, spinose e di difficile risoluzione, vengono eluse trasformandosi appunto in un elefante nella stanza. In altri termini il re è nudo ma nessuno sa o può dirlo. (2)
Negazione sociale
La sociologa Kari Marie Noorgad ha indagato sul campo, per un anno, le reazioni di una comunità norvegese alla minaccia del cambiamento climatico. Ne dà conto in un saggio (3) dove spiega che la negazione sociale funziona in modo analogo ma non identico alla negazione individuale. In sostanza, se l’elefante è così grosso che proprio è impossibile ignorarlo, le persone ne sono consapevoli ma lo minimizzano, o se ne deresponsabilizzano imputandone la colpa ad altri, o si focalizzano sulla gestione e risoluzione di un singolo dettaglio che trascurando il resto. Ciò può spingere verso l’apatia: un’ulteriore forma di negazione.
Il quotidiano britannico Guardian pubblica l’articolo “Dai vaccini al cambiamento climatico al genocidio: stiamo vivendo una nuova era di negazionismo?” evidenziando tre questioni:
- dai genocidi al cambiamento climatico il negazionismo si struttura e si consolida con la produzione di teorie “alternative” e di verità più comode, anche se infondate, e dà origine a un clima sociale fondato sull’odio e il sospetto
- il negazionismo può avere terribili conseguenze inducendo i governanti a non prendere risoluzioni drastiche, a non essere attento alla salute ed al benessere dei cittadini
- l’avvento di internet ha causato l’espandersi di una tendenza incontrollabile secondo cui tutti si sentono legittimati a sostenere la propria individuale opinione spacciata per verità scientifica, seppur priva di fondamenti verificabili
LA FATICA DI NEGARE. Oltretutto, la negazione è una pratica faticosissima. C’è bisogno di istituire un intero sistema logico parallelo. Di stare attenti a non cadere in contraddizione. E di presidiare costantemente il proprio paesaggio cognitivo contro gli assalti continui dei dati di realtà.
REALTÀ VISCHIOSA. La conseguenza di tutto ciò è una sostanziale diminuzione della capacità collettiva di affrontare i grandi problemi contemporanei, e dell’energia necessaria per poterlo fare. Così tutti insieme come collettività, e non solo chi nega i problemi, ci troviamo immersi in una realtà opaca e vischiosa, ansiogena, claustrofobica. E in una condizione di sostanziale impotenza.
SMETTERE DI NEGARE LA NEGAZIONE. Ma se un individuo intrappolato nella negazione patologica può chiedere aiuto a un terapeuta, quale terapia può proporsi per un’intera comunità? Forse il primo passo, anche questo analogo a quello che va compiuto a livello individuale, consiste nello smettere di negare che la negazione è, per così dire, il problema dei problemi.
References
1. Nancy McWilliams, La Diagnosi Psicoanalitica, Ed. Astrolabio Ubaldini, 2012
2. Eviatar Zerubavel, “The elephant in the room”, Oxford University Press; April 2006
3. Kari Marie Norgaard , “People Want to Protect Themselves a Little Bit: Emotions, Denial, and Social Movement Nonparticipation, Sociological Inquiry”, Vol. 76, No. 3, August 2006, 372–396
4. A. Testa, “Negare l’evidenza”, Internazionale, 02-04-2019