
- Corpo e mente
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by NoiSalute
Le sfide proposte sul web nascono come “social challenge” innocue: una persona si sfida con un’altra o più persone in giochi.
Quali sono i più diffusi?
Tuttavia alcune di queste prove sono estreme, pericolose e si diffondono per emulazione attraendo soprattutto i ragazzi più fragili, o meno seguiti nelle ore passate davanti al computer. Esse sono molte:
- balconing (la pratica di gettarsi da un palazzo all’interno di una piscina o di un altro balcone),
- knockout (buttare a terra i passanti con un pugno o un calcio dato all’improvviso),
- eyeballing (buttarsi vodka sugli occhi in cerca di allucinazioni e sballo immediati)
- condom snorting challenge (la sfida ad inalare un preservativo dentro una narice per poi sfilarlo dalla bocca).
Perchè social challenge?
I ragazzi sono attratti dalle challenge perché essi sono dei simil-riti di iniziazione (per distinguere i “fifoni” dai “duri”), usati per dimostrare qualcosa a sè stessi e agli altri: di essere forti fino all’onnipotenza, di essere capaci e bravi, di sapere superare i propri limiti sfidando la morte, di meritare di entrare a far parta di un gruppo. Altre volte essi sono strategie usate per sballarsi con il “brivido” di un’emozione forte, o anche solo per fare qualcosa di diverso, inusuale rompendo la ripetitività della quotidianità, o per vantarsi davanti agli amici. In altri casi ancora questi games sono connessi all’abuso di sostanze stupefacenti cioè diventano un modo “economico” per procurarsi uno sballo momentaneo.
Blackout challenge : una sfida molto pericolosa
Attualmente tra le sfide suicide più pericolose e di tendenza vi è il blackout challenge (noto anche “passing out”, “choking game”, o “fainting game”): la ricerca autoindotta e volontaria del soffocamento rimanendo senza respirare il più a lungo possibile fino allo svenimento. Il gioco ha vari livelli, l’ultimo dei quali richiede di riuscire a perdere i sensi da soli per poi rinvenire dopo pochi secondi, davanti ad una webcam accesa, in preda ad un senso di leggerezza euforica, allucinazioni e uno stato di rilassamento generale del corpo. L’impresa, ripresa in tempo reale, viene postata sui social network e condivisa con altri adolescenti che traggono piacere dal guardare poiché il bisogno di essere visti, considerati, ammirati ed “amati” spinge questi ragazzi ad escogitare un qualunque modo, anche disfunzionale, per riuscirci.
In rete esistono tutorial che diffondono le regole del “gioco” e forniscono istruzioni dettagliate su come provocarsi un’ipossia cerebrale (mancanza di ossigeno) supportando chi si vuole accingere alla prova e contribuendo a diffondere su scala globale queste condotte pericolose. E’ necessario sensibilizzare le persone sui rischi e sui pericoli delle varie challenge perché esse possono avere effetti devastanti sia immediati e diretti che a lungo termine (crisi epilettiche, disturbi del comportamento e dell’attenzione, danni irreversibili al cervello, demenza, coma, fino alla morte).
Daredevil selfie
Anche il daredevil selfie (ossia “selfie temerario”) è un gioco mortale che consiste nel fare dei selfie sui binari ferroviari dando le spalle al treno in arrivo a gran velocità o sulla strada mentre passano le auto, oppure sporgersi dai precipizi, o dondolarsi sui bordi di un terrazzo. Un gioco estremo con la sorte che spesso si conclude con la morte. Infatti tali condotte, irresponsabili ed incoscienti, sono finalizzate ad ottenere dei like, cioè la considerazione, la stima, l’approvazione e l’apprezzamento dei pari. Esse sono attuate da parte di adolescenti definiti “nativi digitali”, con scarso senso critico ed incuranti delle conseguenze delle loro azioni, cresciuti in un’epoca caratterizzata da un iper-utilizzo della tecnologia applicata alle comunicazioni dove anche i fatti più dolorosi della realtà fanno in fretta a diventare videogiochi.
Chi sono i ragazzi più coinvolti?
Oggi per una rilevante fetta di adolescenti la vera vita è quella in rete, è il mondo digitale. La sfida li fa sentire parte di una famiglia ampia, global, dove ognuno condivide con gli altri le attività più estreme. Spesso essi sono sostenuti dall’illusoria convinzione di sapersi fermare prima di farsi del male, ma non sempre ci riescono. Spesso sanno che le azioni che scelgono di fare possono essere mortali, ma temono che non eseguendole possano mostrarsi inferiori agli altri dentro un mondo dove l’obiettivo è diventare un leader della rete.
Questi teen-ager sono soprattutto maschi tra i 12-16 anni, fragili emotivamente, distanti dai genitori, che cercano nel web quell’attestato di stima e di approvazione che a volte non trovano in famiglia. Il 20% ha problemi patologici di relazione, l’80% ha disturbi collegati alla vita digitale che li porta a vivere costantemente collegati al telefonino, sempre a chattare giorno e notte. Gli adolescenti spesso sono affetti da un mal di vivere che gli crea un profondo disagio, silenzioso, latente, nascosto, di cui i genitori possono non accorgersi restando troppo focalizzati sulle attività da fare, sui risultati da ottenere, sui doveri, rischiando di non conoscere a fondo il proprio figlio. L’adolescenza è un’età difficile poiché presuppone il passaggio dall’infanzia alla vita adulta ossia la rottura del vecchio equilibrio e l’acquisizione di un nuovo assetto, che però è una transazione lunga, complessa, a volte traumatica. Durante tale fase è abbastanza possibile che il ragazzo si senta inadeguato, a disagio, che si senta “spinto” a superare delle prove di coraggio proposte dal gruppo degli amici. Prove che possono diventare fatali ed avere un epilogo tragico.
I segnali da monitorare: i consigli della psicologa
I segnali da monitorare e considerare consistono nel verificare se il ragazzo ha dei cambiamenti significativi come diventare improvvisamente apatico, isolato dagli amici, chiuso nella sua stanza davanti al computer; smettere di uscire oppure uscire più spesso del solito, tornare tardi, non dare indicazioni su dove vada o con chi si veda; dormire poco o cambiare abitudini alimentari; diventare meno comunicativo.
E’ indispensabile che i genitori facciano attenzione ad ogni richiesta di aiuto del figlio, eventualmente avvalendosi del supporto di uno Psicologo-Psicoterapeuta. Occorre infatti essere disponibili al dialogo anche quand’esso è complicato ed ostacolato dal ragazzo, essere informati dei rischi del web, confrontarsi con l’adolescente per farlo ragionare su quanto sia sciocco darsi a queste attività e mostrargli le conseguenze tragiche. La dipendenza dalle sfide virali è pericolosa quanto le altre poiché il bisogno adolescenziale di omologazione ora è globale e si misura con “like” e “followers”, anche a costo di fare azioni assurde e mortali. Quindi è necessario educarli ad essere aderenti alla realtà, a dare peso alle loro azioni e valore alla loro vita, unica ed irripetibile. Se un ragazzo vuole superare i propri limiti, può farlo ad esempio praticando uno sport, partecipando ad una competizione costruttiva capace di accrescere il suo senso di autostima aiutandolo a sentirsi capace di centrare i suoi obiettivi.
Dottoressa Manuela de Luca
Psicologa/Psicoterapeuta